Gabriel Garcia Marquez aveva appena compiuto ventisette anni quando a Bogotà, nel ‘55, iniziò a pubblicare a puntate sulle pagine del quotidiano “El Espectador” la storia del naufrago Luis Alejandro Velasco, un umile marinaio colombiano miracolosamente sopravvissuto dieci giorni in mare aperto, senz’acqua né cibo, in seguito all’inspiegabile incidente che aveva portato alla morte di altri otto membri dell’equipaggio a bordo della “Caldas”, un cacciotorpediniere della Marina Nazionale su cui si erano ritrovati a prestare servizio durante quei mesi. La storia del naufrago Velasco, “rimestata e stravolta” a più riprese dalle forze armate sotto il controllo del generale G. R. Pinilla, era stata accolta con grande entusiasmo dal popolo colombiano, che nella sopravvivenza del giovane marinaio aveva rivisto uno straordinario esempio di tenacia ed eroismo nazionale. Tuttavia, poco tempo dopo, svanita l’esaltazione generale e con essa la notorietà del naufrago temerario, Velasco volle affidare il resoconto della sua storia alle parole di un giovane giornalista della Capitale, Marquez per l’appunto, che “per sei ore al giorno per venti giorni” intraprese un meticoloso lavoro di ricerca e di ricostruzione dei fatti per capire a fondo la veridicità e la genuinità della storia confidatagli di persona dal marinaio. Questi sono i presupposti che hanno dato origine a uno dei suoi libri meno conosciuti e sfortunatamente più trascurati, un lavoro che di certo non ha nulla a che a vedere con i (tanti) grandi capolavori scaturiti dalla sua penna, ma che merita tuttavia un’ampia e accorta riconsiderazione per ricordare sia l’importanza storica di una vicenda che aveva occupato per settimane i pensieri e le preoccupazioni di un’intera nazione, sia il significato profondamente sentito che si nascondeva dietro la pubblicazione di quelle pagine; perché “Racconto di un naufrago” infatti fu il libro che costrinse Marquez all’esilio, il prezzo altissimo che dovette pagare per aver portato alla luce i dettagli e i misfatti di una vicenda indissolubilmente legata alla controversa situazione politica del Paese. Quindici anni dopo tuttavia, su invito di una modesta casa editrice spagnola, Marquez deciderà di pubblicare sotto forma di libro la storia del “naufrago solitario”, che nel frattempo, dimenticato oramai dalle cronache nazionali, era rimasto in patria e aveva trovato impiego presso un’agenzia d’autobus; queste le splendide parole con cui Marquez conclude l’introduzione del suo libro: “Mi deprime l’idea che agli editori non interessino tanto i meriti del testo quanto il nome con cui è firmato, nome che mio malgrado è quello di uno scrittore di moda. Per fortuna, ci sono libri che non sono di chi li scrive ma di chi li soffre, e questo è uno. I diritti d’autore, di conseguenza, andranno a chi li merita: al compatriota anonimo che dovette soffrire per dieci giorni senza ne mangiare né bere in una zattera perché questo libro fosse possibile”.
Patrick Maurizio Ferrara.
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