
Un bastone che picchia sul sentiero delle passioni atrofizzate e lasciate seccare al sole. E si perde nel trionfo tumultuoso e fulmineo delle parole che giacciono sul fondo degli abissi, nell’atto stesso di indicare la via. Alla guida del buon pastore ritroviamo locande odorose, amazzoni marmoree per scaricare i sensi, fabbri gelosi, preti col vizietto, macellai, culi parlanti, mani giunte e sensi esplosi nelle mutande. Una silloge variopinta e dialettale di umori, sapori e sconcerie che si fa luogo incessante di celebrazione orgiastica e tragica, trama apnoica di seduzioni e antiche intuizioni che galleggiano nel passato e tornano al presente in tutta la loro straordinaria attualità. Mottetti satirici e volgari, di versi lucidi e sbracati che pure Apollo ferma il carro e si mette in ascolto.
Inebrianti e dispettosi, sono versi passati al setaccio immorale di fantasie tracotanti, nei quali il non detto si fa dettissimo, laddove è tutto chiaro, pure se nessuno lo ammette. Traghettato alla volta di deliri e draghi, tra osterie, borgate e amarissimi piatti di cicoria, il lettore è uno spettatore di troppa carne comprata un tanto all’etto e di poche virtù. En plein air, steso al sole che stringe le pupille di un uomo senza pretese, al verno che smorza gli anfratti, in cammino sul filo spinato degli spasmi e alla ricerca di fremiti da risvegliare e di un’immunità impossibile. Una taranta carnale e goliardica nel ballo dei corpi posseduti, peccaminosi e sinfonici, a contagiare pure l’aria che ti respiri. I vizi tutti dentro, la foga che imbruttisce l’amore e rovina il sesso mal vissuto. E infine il coraggio e l’impegno della verità contro l’abisso infernale dell’ipocrisia e contro il perbenismo di chi lustra argenterie alla tavola apparecchiata del santo buonismo.
Ma com’è dura la vita del poeta, quattro monete, occhi troppo grandi, mani infinite a imprimere versi. Metriche gagliarde e toste, avvinazzate al rosso di illusioni impertinenti. Cantori della schiettezza antica e volgare, detestano la morale, il popolar giudicare e si rotolano tra le sozzure della vita, al riparo dalle piaggerie e dalle impermeabilità dei più. Rustici e volgari, raccontano la terribile malinconia di panze allisciate, rigonfie di pasti opulenti, dicono di donne col manico, cavalier serventi, mignotte (ri)passate in famiglia al controllo di qualità, rigirano il coltello nell’oscena porcilaia dei politicanti e ruttano in faccia alla coratella.
I poeti in testa c’hanno i draghi, che non lo sai. Sono creature inaffidabili che parlano ai cani, sfidano i mulini a vento, scambiano fazzoletti per margherite.
Censori e recensori, il poeta vi tira l’osso.
Erika Di Giulio
Titolo: Le burle del pastore
Autore: Gian Luca Guillaume – Salvatore Amato
Casa Editrice: Nulla die
Pagine: 65