È così difficile capirsi, angelo mio caro,
e il pensiero è così incomunicabile,
anche tra persone che si amano.
(Charles Baudelaire)
Ci sono silenzi che fanno male più delle parole.
Silenzi forti, grandi, rumorosi.
Silenzi che non si fanno ascoltare. Altri invece che ascolti fin troppo. Da annientarti.
Silenzi che avvolgono case e famiglie. Da squarciare le mura.
Di questi silenzi si nutrono la moglie e i figli di Valerio Primic, scrittore di fama internazionale che dopo aver assaporato il successo arrivando a ottenere tre Premi Strega è caduto nell’incubo più grande per un autore, il “blocco dello scrittore”.
Rinchiuso nel suo studio, fra libri, attrezzi per fare ginnastica, fogli bianchi, radio e vista panoramica sul golfo di Napoli, Valerio passa le sue giornate ignaro di quello che lo circonda dietro quella porta maledettamente chiusa.
Inconsapevole di quanto possa pesare quel silenzio alla sua famiglia.
Valerio, un tempo bravo con le parole che sapeva gettare diligentemente su carta, non è in grado di tirarle fuori con sua moglie Rose, con sua figlia Adele, con suo figlio Massimiliano.
Un profondo senso di incomunicabilità invade quelle quattro mura.
Il mondo scorre intorno a sé senza accorgersene.
La moglie reclama un marito che non riconosce più da anni.
I figli sono diventati grandi ma cercano ancora quel padre che non trovano più.
E poi c’è lei, Bettina, la governante.
Bettina voce dei suoi silenzi. Vista dei suoi occhi ciechi. Cuore, mente e polmone di un ménage familiare che sta andando in rovina.
Bettina che origlia dietro la porta ogni volta che quasi come in una processione Rose, Adele e Massimiliano la varcano.
Entrano uno a uno, poco alla volta per confidare segreti, per esternare dolori, per urlargli in faccia delusioni.
Per squarciare quel silenzio assordante di chi non vuol vedere oltre quei fogli bianchi gettati sulla scrivania.
Così Valerio scopre dei debiti che non lasciano tranquilla la moglie, della figlia incinta, del figlio gay. Di una vita che non è più quella di prima e a cui non vuole rinunciare. Continuando a illudersi che la vita sia tutta lì. Su quel divano dove va a riposarsi, su quegli attrezzi dove far ginnastica. Fra i suoi libri, unici spettatori fedeli ai suoi silenzi.
Dov’eri Valerio quando la tua famiglia aveva bisogno di te?
Dov’eri Valerio quando hanno dovuto vendere la tua casa per risanare i debiti?
Dov’eri quando tua figlia e tuo figlio si sono innamorati della stessa persona?
Dove continuavi a cibarti dei tuoi silenzi mentre il mondo intorno a te scorreva senza mai fermarti a guardarlo?
Dov’eri quando quei piccoli silenzi hanno creato un grande silenzio?
Queste domande lacerano la scena, culminando presto nell’imprevedibilità.
La chiusa finale dello spettacolo diretto da Alessandro Gassmann tratto da un testo inedito di Maurizio De Giovanni alla sua prima opera teatrale è uno schiaffo in piena faccia.
Imprevedibile di quelli che ti lasciano senza parole. Già proprio così.
In silenzio. E senza fiato.
Applausi scroscianti accompagnano l’intero cast. Audace, coinvolgente, fino all’ultima battuta, fino all’ultimo silenzio.
D’altronde… il silenzio è profondo come l’eternità; il discorso, superficiale come il tempo diceva Thomas Carlyle.
E di questo silenzio grande ne sentiremo parlare ancora a lungo…
Giusy Genovese