“La musica prima di tutto”, recitava Paul Verlaine. In questo film compare prima della prima immagine e ci accompagna sempre, aggiungendo tensione alla tensione, mentre i giorni dopo l’omicidio di Dallas vengono raccontarti in soggettiva da una Jacqueline disperata e sotto shock, ma che vuole consegnare il marito alla storia, costi quel che costi. Ad ascoltarla, il giornalista politico di Life, Theodore H.White, che firmerà l’articolo più letto in tutto il mondo. E’ un ascolto attento il suo, empatico, attivo, di una delicatezza fuori dal comune. Rispettosissimo. Le riprese dei due sempre uno di fronte all’altra, con pause e un ritmo del parlato molto lento, sembrano ricalcare tempi e modi di una seduta terapeutica. E infatti Jackie piange, ma non perde la lucidità di ordinare cosa va pubblicato e cosa dev’essere assolutamente taciuto.
L’ intervista fa da cornice alla narrazione, che va dalla morte violenta del presidente al suo funerale. E mentre Jackie si racconta, rafforza l’ immagine che ha costruito, sua e della coppia; di John Kennedy, uomo marito padre e presidente, che deve rimanere nel ricordo universale. Ma se il dramma del lutto si può elabora solo quando si e’ abbandonata l’identità precedente, cinque giorni sono davvero pochi per chiunque. Figuriamoci per una first lady!
Perché anche se la definizione non le piaceva, prima donna lo e’ stata più di chiunque altra. Ogni flashback che ce la mostra radiosa e impacciata, mentre si aprono le porte della Casa Bianca ed entra la televisione per mostrare a tutti quello spazio da favola, rafforza l’ idea di una donna unica nel saper coniugare raffinatezza e popolarità, impegno e frivolezza, ostinazione e fragilità. Persona e personaggio si incontrano, si sovrappongono, litigano. A noi piace di più la donna consapevole di tutto questo, anche della propria vanità. Perché e’ lì che nasce e si sviluppa il vero dramma: nello stridio tra il ruolo e l’autenticità.
Siamo lontani da “Neruda” che pure ha avuto tanti consensi dalla critica, molto meno da chi scrive, non convinta del lungo conflitto con l’altro da sé, vissuto come uno scontro tra “duellanti” poco convincente. Anche in “Neruda”, si vuole raccontare un grande uomo dell’ immaginario (ma la costruzione del personaggio meriterebbe di essere discussa) in un momento particolare dell’esistenza, quello della fuga, dell’allontanamento dal suo paese. Jackie invece non sa e non vuole separarsi da com’era la sua vita prima di Dallas e queste resistenze spiegano meglio il suo secondo matrimonio con Onassis, nella realtà, e le sue pretese da lui che hanno tanto indignato allora il mondo intero. Infatti, fa sorridere in questo film di Pablo Larrain, quando dice che nella vita avrebbe voluto fare la commessa.
Tutto ciò non rende il suo lutto meno credibile, se mai più complesso, attraversato stati d’ animo che si contraddicono e che ce la fanno amare nella sua ambiguità, nell’ambivalenza che appartiene a tutti noi, se pure con le nostre vite più anonime, non meno importanti.
Così, quando la vediamo esporsi agli sguardi sconvolti dalla morte di Kennedy con il suo tailleur rosa macchiato di sangue, che caparbiamente non vuole togliere, non ci chiediamo se stia posando o meno. Le crediamo e se anche non fosse vera fino in fondo, riusciamo a capirla.
La musica intanto e’ sempre lì (“la musica prima di tutto”!) a sottolineare il dramma vero e il dramma recitato, in una ricostruzione degli anni Sessanta, bella nei colori, negli abiti, negli ambienti.
Margherita Fratantonio
JACKIE
Regia: Pablo Larrain
Sceneggiatura: Noah Oppenheim
Interpreti: Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup, John Hurt
Produzione: Bliss Media, Fabula, LD Enterainment
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 99 minuti
Uscita: 23 febbraio
Voto: 4/5