Mamma a carico, una vecchia è per sempre

copNei casi più fortunati ti hanno allevato e si sono presi cura di te. Poi mentre cresci, quelli crescono sempre di più pure loro. Invecchiano e diventano pesanti, pallottole d’ossa accartocciate che gracchiano e lingue di serpente che non riposano mai. Carezze e baci, ma prenderli in braccio no, ti spezzano in due.

C’è una figlia novantenne nella vita di Gianna. Una vecchia peste più punk di Sid Vicious che in confronto la menopausa è una passeggiata.  Cocciuta e orba, ha sopravvissuto fiera come una belva a tutti i dolori del mondo e gli occhiali 3D se li può permettere per abitudine e per bellezza. Non importa se si è fatta la cacca sotto come i bambini, è mamma, la amerai sempre. Iron lady sul trono telecomandato dell’immortalità e ancora (si) graffia con quelle mani che non riposano mai. È come il gatto Dodo. Sempre viva e in mezzo a noi, e tutti lo devono sapere.

Mammetta bambina e pure dispettosa, imprigionata in un corpo cadente, voleva fare la soubrette. È diventata un’assassina di piante rampicanti con la voglia d’anguria, e ha annacquato le sue velleità interrandole nel vaso della figlia. Turn over di badanti, litigi, schermaglie amorose e caramellette di conforto. Che la glicemia per fortuna è buona e la liquirizia alza la pressione.

Romanzo di mosse giocose e di vite avvolte e comunicanti, “Mamma a carico. Mia figlia ha novant’anni” (Ed. Einaudi) è un diario del cuore, intimo di affanni e ore liete, rese e resurrezioni, sabbie mobili di doveri e turbamenti, slanci e tenere ritorsioni. È la questione sociale di una piaga diffusa e generazionale aperta dal rovesciamento illegittimo e contronaturale dei ruoli che causa indigenza e smarrimento. L’ ammissione sincera della propria finitezza quando invece si vorrebbe essere immortali e giganti, nell’impossibilità di socializzare costruttivamente col declino pscicofisico del proprio genitore.

Gianna Coletti, autrice-attrice già protagonista del film di Laura Chiossone “Tra cinque minuti in scena” ispirato alla sua storia, ci dice con forza e ironia di un fatto universale, pieno zeppo di odorante verità, confidando timori, angosce, desideri repressi di una donna stanca ma ancora perdutamente innamorata, madre della propria madre, che però da sola non ce la fa più. “Mamma a carico” di una figlia dell’ansia, che veglia il sonno agitato nella ruga verticale delle preoccupazioni, canta la filastrocca per ingrassare la memoria rinsecchita, e intanto si perde i pezzi lei, con quei lucciconi agli occhi e la tinta rosso tramonto indiano, tutta tramontata da un pezzo.

Perché è una roba difficile e vampiresca la vecchiaia, un vivere duro. Ma tu perdonati Gianna, sei stata bravissima.

Erika Di Giulio

 

Mamma a carico

Gianna Coletti

Einaudi Edizioni, 2015

pp.152

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